Ho pensato a lungo a quale testo scegliere per la nostra rubrica #evergreen, lo spazio in Harem’s Group  – gruppo Facebook di Harem’s book – dedicato alla riscoperta di un classico, in un momento storico come questo.

La scelta è ricaduta su un testo dal profondo senso umano che possa accompagnarci in questi giorni di riflessione e raccoglimento, di ripiegamento interiore. Quasi fossimo in un letargo. Un testo che ci lasciasse tanta speranza e consapevolezza. Un romanzo che è uno scrigno di riflessioni, spunti pedagogici, emozioni e ideali. Un libro che leggo e rileggo ciclicamente, a corsi e ricorsi. 

Nato da esperienze autobiografiche (un incidente aereo che costrinse l’autore a un atterraggio di fortuna nel Sahara), Il piccolo principe uscì negli Stati Uniti nel 1943 e, postumo, in Francia nel 1946. La vicenda del piccolo, delicato personaggio piovuto sul nostro pianeta e desideroso di tornare dalla sua amata rosa dopo avere appreso – e insegnato a milioni di lettori nel mondo – che “l’essenziale è invisibile agli occhi” è un fenomeno editoriale globale, un bestseller assoluto nel quale testo e immagini (i celebri disegni dell’autore, parte integrante dell’opera) si fondono in un capolavoro di saggezza e poesia. Con i disegni dell’autore. Età di lettura: da 8 anni.

Oggi riprendiamo questa “fiaba” che è molto di più, perché come ci insegnava Italo Calvino dobbiamo planare con leggerezza su questo mondo “pesante, opaco e inerte”, augurando ad ognuno di noi di imparare e non dimenticare mai “l’arte dei piccoli passi”. 

A torto si giudica questo romanzo come libro per bambini – già per questo sarebbe incredibilmente speciale – il testo appartiene infatti alla letteratura per l’infanzia, tanto da essere giustamente consigliato come lettura per arricchire i piccoli lettori, restando tuttavia un classico, secondo la definizione più preziosa del termine: cioè un testo che non termina mai di dire qualcosa e che merita di essere letto a tutte le età, nelle diverse stagioni della nostra esistenza. 

Il piccolo principe è un dialogo tra un adulto e un bambino ma è anche un dialogo con noi stessi e con quella parte di noi, l’essenza di candore, che rimane troppo spesso soffocata dal cinismo e dal disincanto adulto. È il racconto di un percorso di crescita e una sorta di romanzo di formazione che mostra la crescita sia del pilota che del piccolo principe. È una storia di amicizia che nasce in un contesto estremo, di urgenza, che nel testo trae spunto dall’atterraggio di emergenza nel deserto e che tanto sembra simile a questi giorni di isolamento che ci obbligano a guardare deserti intorno a noi o a volte dentro di noi. Spenta la frenesia, rimosse le distrazioni, ci troviamo come una tabula rasa, come una pista d’atterraggio improvvisata su cui precipitano le nostre ansie e le nostre fragilità.

Sia il pilota che il piccolo principe riescono a trovare un punto d’incontro e il dialogo da cui poi nascerà la loro amicizia risiede nell’atteggiamento naïf, entusiasta della vita, che li accompagna sempre, così come nel carattere avventuroso del protagonista che fa dello stupore un innesco continuo, della meraviglia il motore di ricerca continua. Proprio perché anche da adulto non ha rinunciato alla parte più ingenua di sé, basti pensare all’episodio del disegno del boa e dell’elefante

Tutti i grandi sono stati piccoli, ma pochi di essi se ne ricordano

Saint-Exupéry lamenta il disincanto degli adulti, che dimenticano la fantasia per un approccio al mondo esclusivamente rigoroso e scientifico, con la presunzione dell’intelletto e con la superbia della ragione, accantonando la parte istintiva del sogno, della creatività e della purezza. Quella ingenuità che appartiene ai bambini, abituati ad andare “oltre”, a chiedere, domandare, a immaginare…trovare risposte e interpretare la realtà. 

“Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre eternamente costretti a spiegar loro le cose”.

Ritorna ad essere una metafora dello sguardo infantile sul mondo che può essere applicata benissimo a questo periodo storico di cui ci troviamo protagonisti. Il protagonista de Il piccolo principe è un alieno, un individuo che viene da un altro pianeta, da un’altra realtà. Circostanza che gli consente di avere una prospettiva diversa e quindi di poter interpretare ciò che vede con una chiave di lettura alternativa – capovolgendo il modo in cui solitamente si guardano le cose, le persone, la realtà.

“Se qualcuno ama un fiore, di cui esiste un solo esemplare in milioni e milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda”.

È quello che ci succede oggi, perché guardiamo il mondo dall’interno delle nostre case. Come diceva recentemente il giornalista Toni Capuozzo bussiamo al mondo dall’interno. Siamo pesci di una bolla che si incontrano So…this is water (cfr. David Foster Wallace)?  Osserviamo la natura nella struggente bellezza del risveglio, guardiamo nella nostra introspezione forzata quello che si agita dentro di noi.

È come se ci trovassimo davanti il bambino che siamo stati e gli chiedessimo se è felice e soddisfatto di quello che siamo diventati come diceva Juanfelipe Gabanhia.

“Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano così belle”.

L’autore presenta una galleria di personaggi che sono tipi efficaci che bucano la pagina, con una forza caricaturale emblematica universale, che supera spazio e tempo, perché sono le stigmatizzazione dei vizi più comuni del genere umano. Nel suo peregrinare Il Piccolo Principe incontrerà sugli asteroidi il re che smania e si corrode nella sua ansia di potere, il burocrate che si logora nel rispetto ligio e pedissequo delle regole, il vanitoso concentrato su di sé e avvitato nella sua egomania, l’ubriacone perso nelle illusioni e incapace di riconoscere la propria debolezza, l’uomo d’affari schiavo del denaro e delle ambizioni, il geografo incapace di trasformare il proprio sapere in modo produttivo chiuso nella Turris eburnea della sua conoscenza. E l’uomo che accende e spegne il suo lampione, per senso del dovere. L’unico a non sembrare ridicolo a questo bimbo biondo. Magari oggi lo vedrebbe con un camice indossato e mascherina… I riferimenti alla nostra epoca sono così impietosamente moderni, attuali…e puntuali in modo quasi crudele.

Il piccolo principe non trova un senso a questa mania del possesso, non trova un significato dietro alle scelte degli abitanti degli asteroidi, perché si viaggia alla ricerca dell’acqua, della vita. Tutto ciò sembra follia, perché allontana gli uomini dal senso vero delle cose, dal reale, dall’essenza. 

Anche in questo caso penso ai nostri bambini che disegnando arcobaleni e adattandosi a una routine che non è quotidianità, reinventano ogni giorno, ogni istante, facendo quello che è il loro lavoro: insegnarci a vivere. Insegnarci a crescere anche in questi giorni

“Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comperano dai mercati le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami!”.

Il protagonista cresce e va avanti nel suo percorso di maturazione, grazie soprattutto al rapporto con la volpe, la sua amica vera e sincera che sceglie l’ addomesticamento come forma di amore. Dalla volpe il piccolo protagonista trarrà una lezione inestimabile

“Che cosa vuol dire addomesticare?”
“Non sei di queste parti, tu”, disse la volpe, “che cosa cerchi?”
“Cerco gli uomini”, disse il piccolo principe.
“Che cosa vuol dire addomesticare?”
“Gli uomini” disse la volpe, “hanno dei fucili e cacciano. È molto noioso! Allevano anche delle galline. È il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?”
“No”, disse il piccolo principe. “Cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare?”
“È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…”
“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.

 Questo appuntamento, incontrarsi nel senso di venirsi incontro, ad un’ora fissa, ha un significato meraviglioso perché ricorda il valore dell’attesa.

“Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”.

E ha un parallelo commovente con l’attesa di questi giorni, con l’appuntamento struggente, chiassoso e goffamente tenero, dignitoso e incredibilmente sentimentale, degli italiani affacciati ai balconi alle 18:00.

Il protagonista cresce soprattutto grazie alla lezione della sua amica volpe perché dà valore all’attesa, impara ad aspettare e impara ad ascoltare, ad osservare. Capisce che ciò che conta è l’amicizia, il sentimento, l’affetto tra le persone, la consapevolezza

…se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica

La consapevolezza è il morso del serpente, la morte dell’innocenza, il sonno del piccolo principe, simbolo della maturazione compiuta. È un evento naturale, una tappa del ciclo vitale, quella parte necessaria della nostra esistenza. perché arrivi la primavera è necessario il buio dell’inverno.

Tempo. Tempo ne abbiamo tanto ora, diamolo alle persone che amiamo. Alle nostre rose.

“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
“L’essenziale èinvisibile agli occhi”, ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
“È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.
“È il tempo che ho perduto per la mia rosa…” sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”
“Io sono responsabile della mia rosa…” ripeté il piccolo principe per ricordarselo.

Crescere vuol dire diventare responsabili delle proprie azioni, ciò cui siamo chiamati oggi.

Non si vede bene che col cuore,

l’essenziale è invisibile agli occhi


L’efficacia potente del messaggio di questo testo supera quindi il richiamo al contesto storico culturale in cui è stato concepito, va oltre la denuncia della tragedia della Seconda Guerra Mondiale, reagisce agli orrori della violenza in modo poetico. Col tono della fiaba la narrazione plana leggera su questi spazi enormi e deserti che richiamano la solitudine umana, l’ assenza e il vuoto, lo sradicamento e la morte, non a caso il pilota cerca acqua e viveri come un novello Ulisse… tutti gli uomini si affannano assetati. Come uno di noi in fila a 1,5 m l’uno dall’altro, davanti al supermercato a cercare farina, lievito, uova e latte…i beni primari e ciò che ci ricorda l’attesa e la speranza. Ciò che ci riporta all’essenziale, agli ingredienti principali della nostra vita.

 I registri stilistici, i livelli di lettura de Il piccolo principe sono stratificati e molteplici, quasi un paradosso con lo stile semplice e lineare, terso e nitido che ancora oggi consente al testo di avere un taglio universale.

Se ogni libro è un viaggio l’ approccio a questo romanzo dovrà essere quello del piccolo aviatore che esplora e cerca, che atterra su queste pagine con l’intenzione di riscoprire la propria vita. Anche per i più “navigati” lettori che sentiranno con bonaria ironia un senso di estraneità e lontananza. Il piccolo principe in realtà è un libro sovversivo, può portare a scardinare i fondamenti scricchiolanti delle esistenze, proprio per questo l’arco temporale della storia è lungo quanto il cambiamento di vita, quanto una quarantena…Il mondo (letterario) che ospiterà la nuova vita del lettore sarà alieno, perché i grandi interrogativi esistenziali, le domande della sua vita, avranno interlocutori di fantasia e ipotesi che appartengono alla sfera della immaginazione. Dei bambini.

Questo romanzo è una piccola sfida agli adulti. È un concentrato di verità e, si sa, la verità fa paura. Veritas, la dea romana, risiede in fondo ai pozzi, nell’abisso e nella profondità. Perché guardare in faccia la verità è orribile e sacro, fa paura. Di non poter guardare la verità senza essere a propria volta “visti” come riflesso dal pozzo: la verità si può scoprire solo partendo dal mondo notturno, cioè dal nostro cuore, e non possiamo pretenderla dagli altri. La dea Veritas ne indicava il sentiero con una torcia, ma notturna, perché è un percorso oscuro, misterioso, intimo. Una torcia che secondo rituale si spegneva nell’acqua in primavera, momento liturgico adottato dalla Chiesa cattolica per il cero pasquale spento nel bacile d’acqua a Pasqua, cioè in primavera. Un simbolismo arcano, come spegnere il fuoco di Vesta in primavera per poi riaccenderlo (anticamente l’anno iniziava in primavera), perché la verità resta nell’ignoto, cercarla è cercare la nostra luna nel pozzo.

Cerchiamo la nostra luna nel pozzo. 

In questa primavera, in questa Pasqua che si avvicina. Come il piccolo principe cerca il suo asteroide per tornare dalla sua rosa. 


La semplicità non è per tutti ed è quella che consente di bucare la pagina, di attraversare il tempo e di andare oltre ogni spazio, facendo atterrare Il Piccolo Principe sui nostri balconi, per riportare un messaggio chiaro e preciso, anche in questi giorni. Giorni non di guerra, forse. O forse sì. 

 È come un guerra bianca. 

Intanto la primavera avanza con grazia struggente.

Il mondo non si è fermato.

Hanno spento il caos quotidiano. 

Scomparsi i rumori di sottofondo resta il silenzio in cui ogni parola acquista il suo peso, si fa sentire mentre si deposita.

Ci parliamo, tanto, con calma, soppesando e ascoltando.

Svanita la fretta rimane un tempo lento, quello delle mani sporche di farina, di colore e di polvere.

Ogni gesto si carica di significati e bellezza, si fa cogliere mentre si manifesta. Ci guardiamo, a lungo, con attenzione, ci riconosciamo e amiamo.

Tra di noi e con noi stessi.

Magari ci soffermeremo su qualche ruga o su qualche capello bianco che impietosamente non si maschera più sotto le nostre divise sociali.

Perché siamo spogliati 

Nudi e fragili, più veri. 

Questo ci spaventa. 

Fermarci e osservare. Ascoltare. Sentire. Assaporare.

La lentezza ci terrorizza.

Perché siamo obbligati alla verità.

Chi siamo. Che cosa stiamo facendo. Che cosa ci fa paura, in che cosa speriamo. 

Non è un letargo, tutti i sensi sono all’erta. 

Più che un porto sepolto siamo una umanità sepolta. 

Che strana primavera quella del 2020.

Da prendere a piccoli passi. 

Perché rileggerlo? 

Perché questa è una “guerra bianca”.  Perché questa è una primavera strana, perché dobbiamo imparare l’arte dei piccoli passi 

Saffron

Non ti chiedo né miracoli né visioni
ma solo la forza necessaria per questo giorno!
Rendimi attento e inventivo per scegliere
al momento giusto
le conoscenze ed esperienze
che mi toccano particolarmente.

Rendi più consapevoli le mie scelte
nell’uso del mio tempo.
Donami di capire ciò che è essenziale
e ciò che è soltanto secondario.
Io ti chiedo la forza, l’autocontrollo e la misura:
che non mi lasci, semplicemente,
portare dalla vita
ma organizzi con sapienza
lo svolgimento della giornata.

Aiutami a far fronte,
il meglio possibile,
all’immediato
e a riconoscere l’ora presente
come la più importante.
Dammi di riconoscere
con lucidità
che le difficoltà e i fallimenti
che accompagnano la vita
sono occasione di crescita e maturazione.

Fa’ di me un uomo capace di raggiungere
coloro che hanno perso la speranza.
E dammi non quello che io desidero
ma solo ciò di cui ho davvero bisogno.

Signore, insegnami l’arte dei piccoli passi.

Antoine de Saint-Exupéry